E-health: Italia al primo posto posto in Europa per utilizzo di app e soluzioni digitali nel settore sanità

Italia prima in Europa per uso di tecnologie digitali in ambito E-health. Parola del “Future Health Index 2019”, elaborato da Philips, secondo cui l’88% dei professionisti sanitari italiani utilizza app e soluzioni digitali, sia negli ospedali che negli studi privati.  Tuttavia, permangono ritardi su: condivisione dati, cartella clinica elettronica (Cce) e telemedicina.

Italia sempre più sensibile al tema E-health, l’insieme di risorse, soluzioni e tecnologie informatiche di rete, applicate alla salute a alla sanità allo scopo di ottimizzare le attività degli operatori specializzati e di facilitare la comunicazione medico-paziente.

A testimoniarlo, i risultati emersi dalla quarta e ultima edizione  del “Future Health Index” firmato Philips, secondo cui il Paese si posizionerebbe al primo posto in Europa per utilizzo di tecnologie digitali nell’ambito del settore sanitario. La quota di professionisti sanitari italiani che fa uso di app e soluzioni digitali nel proprio studio privato o nell’ospedale in cui lavora, si attesta all’88%, superando di ben 10 punti percentuali la media europea, oggi al 78%.

Occupano il secondo e il terzo gradino del podio europeo, l’Olanda al 86% e la Francia al 79%. Non tiene il passo la Germania che, con il 64%, si posiziona sesta, preceduta da Polonia (77%) e Regno Unito (72%).

Al centro dello studio – condotto su 15 Paesi da tutto il mondo- l’importante obiettivo di accelerare il passaggio verso modelli sanitari più sostenibili, supportati da tecnologie digitali. Uno sguardo a tutto tondo – quello gettato da Philips sulla digital health technology – che mira ad indagare i benefici apportati sia sul lavoro del professionista sanitario che, più direttamente, sull’esperienza di cura del paziente.

Sono proprio i pazienti, infatti, i primi a riconoscere l’importanza delle innovazioni apportate dall’E-health al settore sanità. È, in particolare, la possibilità di esercitare un maggiore controllo sulle informazioni sensibili relative agli aspetti della propria salute che spinge, il 76% dei pazienti italiani che non hanno o non sanno di avere accesso alla Cartella clinica elettronica (Cce), a chiedere di potere disporre dei propri dati sanitari. Per la stessa ragione, il 91%, si dice pronto a condividerli.

Una pratica, quella della condivisione dei dati, pronta a rappresentare un punto di evoluzione nel rapporto medico-paziente: la possibilità di essere più informato sulle proprie condizioni cliniche, porta il paziente verso una maggiore proattività e un più ampio coinvolgimento rispetto alla gestione della propria salute.

Tuttavia, i passi da compiere in questo campo, sono ancora numerosi. Nonostante il primato registrato rispetto all’utilizzo di tecnologie digitali connesse all’E-health, i professionisti sanitari italiani risultano poco propensi all’utilizzo della Cce: a farne uso, infatti, è il 57% degli operatori italiani, contro una media del 76%.

Eppure i vantaggi apportati dalla Cartella clinica elettronica al lavoro dei professionisti, sono molteplici: il 73% degli operatori intervistati riconosce impatti positivi sulla propria soddisfazione professionale; per la stessa percentuale, si registrano benefici anche sulla qualità dei servizi offerti; per il 63%, infine, notevoli influenze si evidenziano anche rispetto ai risultati clinici.

Nonostante gli ottimi risultati raggiunti dall’Italia, dallo studio emerge un ulteriore punto di debolezza sull’E-health nel Paese. Ci riferiamo alla telemedicina, l’insieme di tecniche mediche ed informatiche che consentono di fornire servizi sanitari a distanza. Sono ben quattro su dieci, infatti, i professionisti italiani che dichiarano di non averla mai utilizzata. Eppure, si tratta di uno strumento da non sottovalutare, soprattutto rispetto al problema dei tempi di attesa, tra i più sentiti tra i pazienti intervistati: è l’81% a ritenere che i tempi di attesa per le visite siano eccessivamente lunghi.