“Open Innovation Outlook: Italy 2019”: l’Italia avanza ma non tiene il passo, è solo decima tra gli innovatori Ue

L’Italia si apre all’Open Innovation, i progressi sono importanti ma non bastano: il divario tra le aziende italiane e i leader internazionali dell’innovazione è sostanziale Bisogna puntare su scouting e startup. Questo il quadro tratteggiato da “Open Innovation Outlook Italy 2019”, la prima ricerca completa sul tema in Italia, realizzata da Mind the Bridge con il supporto di SMAU.

Italia in corsa verso l’Open Innovation. Decisa a colmare il consistente gap con l’Europa, si dimostra sempre più aperta e pronta all’attivazione di azioni di collaborazione tra aziende, startup innovative e università. Lo si legge nella prima edizione di “Open Innovation Outolook: Italy 2019”, la ricerca completa sull’Open Innovation in Italia, condotta da Mind The Bridge, in collaborazione con SMAU.

Alla base dello studio, la volontà di conoscere l’attitudine delle aziende italiane verso l’Open Innovation, attraverso l’attivazione di canali di collaborazione tra l’ecosistema startup e il tessuto industriale italiano. Emergono importanti progressi, ma il divario tra aziende italiane e leader internazionali sul tema innovazione, risulta ancora troppo ampio.  Ad eccezione dei settori dell’energia e delle banche, nel variegato panorama delle società italiane, solo una minima parte sembra aver avviato progetti di Open innovation.

Se raffrontate alle concorrenti internazionali, nelle aziende UE si registrano investimenti in innovazione di portata inferiore. Eppure, le imprese innovative europee crescono due volte più rapidamente. In un quadro tanto dinamico, l’Italia stenta a mantenere il passo. Se, al 2018, si registra una raccolta di capitali pari a $1.8B, nel Regno Unito gli investimenti in aziende high-tech nel 2018 sono stati di $11.6B; in Germania $4B; in Francia $3.6B.

La metodologia impiegata per la misurazione dell’attitudine delle aziende italiane all’Open Innovation è la stessa che da anni è applicata in ricerche condotte su scala internazionale.  Oggetto dello studio, sono state un centinaio di aziende italiane operanti in diversi settori. Ciascuna è stata analizzata tenendo conto di fattori interni (strategia, organizzazione, processi, cultura) ed esterni (azioni e risultati raggiunti nel settore innovazione attraverso misure di accelerazione di startup, procurement, co-development, investimenti e acquisizioni).

Dal confronto tra le 36 Top aziende italiane per fatturato con le Top 36 europee nella matrice di “Open Innovation Readiness” (l’indicatore sintetico che viene generato dalla media delle valutazioni dei fattori “Internal” ed “External”) si osservano quattro diverse tipologie di approcci:

  • Open Innovation NEWCOMER: aziende che si sono appena avvicinate all’Open Innovation e che non dispongono, al momento, di strutture dedicate;
  • Open Innovation TRAILBLAZER: aziende che hanno avviato azioni di Open Innovation senza tuttavia avere piani e strutture dedicate.
  • Open Innovation CHALLENGER: aziende che si stanno strutturando per lavorare con le startup ma che devono ancora produrre risultati.
  • CORPORATE STARTUP STAR: aziende appositamente strutturate che producono risultati concreti in termini di collaborazione con le startup (collaborazioni commerciali, investimenti, acquisizioni).

La fotografia scattata vede le principali aziende italiane (tranne alcune limitate eccezioni) distribuirsi su più livelli, nessuna ancora ha  acquisito il titolo di “Corporate startup star” e poco possono dirsi “Challenger”. Il tessuto industriale del Paese, infatti, risulta essersi appena affacciato al mondo delle startup e impegnato a  far fronte alle strutture mancanti, alla ricerca di pieni strategici e strumenti che consentano di fare innovazione in modo più strutturato.

La reattività all’Open innovation cambia anche a seconda delle dimensioni aziendali: al crescere della dimensione aziendale, aumenta la possibilità di strutturare azioni di Open Innovation efficaci. A far registrare il più alto tasso di dinamismo in Italia, proprio le aziende più grandi e affermate. Esiguo, ancora, il numero di PMI coinvolte. Inoltre, le attività rilevate riguardano azioni di tipo “marketing e comunicazione” che non ancora progetti con obiettivi chiari, risorse e budget dedicati.

Importante freno allo sviluppo del tessuto innovativo italiano è rappresentato anche dalla scarsità numerica di startup di importanti dimensioni. Ad oggi, infatti, l’Italia fa contare solo 208 scaleup. Queste cifre collocano l’ecosistema italiano al 10° posto nello “Scaleup Country Index”, indicatore di performance per l’innovazione tecnologica.

L’importante gap rispetto ai principali innovatori UE è confermato anche dal punteggio fatto segnare dalle 12 imprese “top” italiane nell'”Open Innovation readiness”. in cui ottengono uno score medio di 2,7, contro il 4,3 delle top 12 d’Europa.

A fronte di un  contesto povero di strutture e strategie dedicate all’innovazione, fare Open Innovation in Italia risulta particolarmente complicato, ma si tratta di una direzione che bisogna necessariamente seguire. L’intero settore industriale, senza innovazione è concretamente a rischio. L’ecosistema italiano della startup, ancora troppo poco matura per rispondere al fabbisogno innovativo delle imprese nostrane, spinge a guardare al resto d’Europa. L’adozione di un approccio di scouting su scala internazionale, appare la principale e primaria risposta alla lentezza del tessuto innovativo italiano.